Nelle «Memorie» lo scrittore francese Philippe Sollers capovolge i miti della modernità

Il diavolo è Kitsch
Il Maligno, per Philippe Sollers, è il cattivo gusto. La letteratura diventa il vero campo di battaglia

BERNARD-HENRI LÉVY

Non bisogna mai prendere in parola gli scrittori. Mai. Non bisognava credere a Proust quando annunciava un romanzo ( Contro Sainte-Beuve)
che, in realtà, era la sua teoria della letteratura e dell'arte. Né a Sade quando fingeva di appassionarsi alla meccanica dei corpi, alla loro fisica segreta, alla loro erotica, mentre non s'interessava che al teatro. Né agli adepti del mentir-vero quando mascheravano da opera di narrativa le loro veritiere autobiografie (Aragon). Né agli stessi quando, al contrario, travestivano da autobiografia il loro ultimo, o primo, grande romanzo (Malraux, Gary).
Ebbene, la stessa cosa fa Philippe Sollers con il suo nuovo libro, che maliziosamente presenta come Memorie.
E oplà, quasi tutta la critica cade nella trappola e, all'unanimità, esclama: «Ci siamo! Ha deciso di confessare tutto! Finalmente sputa il rospo! Lo aspettavamo da tempo ed ecco un bel racconto pacato, sereno, autocritico, che è un bilancio, uno sguardo sull'eternità; ecco come ho vissuto, mi sono proprio divertito, arrivederci e grazie, il conto prego, passiamo al guardaroba...».
Il problema è che questo non è un libro di Memorie. Il problema è che l'eterno giocatore che è Philippe Sollers ci ha, come al solito, teso una trappola.
È una sua astuzia? Una facezia? È desiderio di confondere le tracce? Gusto del malinteso? Prudenza? Un modo di dare al dio-ciclope che regna nell'Olimpo dello spettacolo la droga che si aspetta, che lo calmerà momentaneamente e permetterà allo scrittore di proseguire, ancora un poco, il proprio cammino? Lo ignoro. Ma la realtà è questa. Il cosiddetto libro di Memorie è un libro combattivo, vero, per niente pacato, assolutamente non distaccato, è giovanile, allegro; è un libro dove un grande scrittore riprende, sebbene in altro modo, la guerra di lunga durata che porta avanti dalle sue precedenti opere: H, Donne, La guerra del gusto e il resto.
È un libro dove si ricorda, per esempio, che l'elezione di un papa polacco fu, con lo scisma cino-sovietico, l'evento principale della seconda metà del secolo scorso. Un libro dove si dice, in primo luogo, che Dio è ma non esiste e, in secondo luogo, che il Diavolo non è il maligno che crediamo, è l'inintelligenza stessa, la stupidità personificata, il cattivo gusto, l'ignoranza. Un libro sull'Eterno Ritorno inteso come un test, proprio come un test, destinato a verificare che desideriamo sufficientemente le cose per volere che ritornino, per sempre, all'infinito.
Un libro su Venezia, che Sollers scrive «Veni etiam», vieni ancora, vieni sempre, ritorna. Un libro del riso e della memoria. Un libro anti-risentimento, anti-malinconia; un libro che è macchina da guerra contro quella tendenza alla depressione, all'accidia, che è la malattia del momento.
È il libro di uno scrittore detestato, insultato, trascinato nel fango, biasimato, ma che si è servito proprio di questo biasimo per farne una prodigiosa leva atta a sollevare, pensare, volere il mondo. Un libro che non perdona nulla e non chiede perdono di nulla. Un libro dove — come nello scritto di Kant Per la pace perpetua — non solo la letteratura, ma la metafisica sono considerate un campo di battaglia (Kampfplatz) su cui si scatena una guerra spietata.
Un libro dove si scrive come si dipinge, alla cinese. Un libro dove si dice, come in Nietzsche, che la vita, senza la musica, sarebbe un errore. Un libro che più volte ritorna sull'asse Vichy-Mosca che fu, e rimane, la fonte del male francese. Un libro dove si apprende che ogni anno l'autore, il 14 luglio, espone nel suo giardino quattro bandiere: quella francese, quella inglese, quella cinese e quella del Vaticano. È il libro di un «europeo di origine francese».
Il libro di un uomo che ha ascoltato l'appello heideggeriano a diventare colui che è stato chiamato a saltare «fuori dal gruppo di tutti gli altri». Il libro di un pessimista attivo che ha capito, molto presto, che non è lui a odorare di zolfo, ma che è l'epoca ad odorare di muffa.
Morire? Nessuna voglia di morire, dice l'autore. Ma dovendo morire, un giorno, il più tardi possibile per favore, sappia, la società, che di me avrà solo i manoscritti e i miei resti; e che questi miei resti siano sotterrati all'Ile de Ré, vicino al quadrato di terra in cui furono inumati, ai tempi della mia infanzia, i corpi non reclamati dei giovani piloti australiani venuti a liberare la Francia.
È un libro che ci invita a fare una cernita fra le nostre buone stelle (etimologicamente, i nostri astri) e le nostre cattive stelle (quelle che ci paralizzano e, letteralmente, ci assiderano).
Un libro dove si dice che uno scrittore ha comunque parecchie vite: quella ufficiale, quella sociale e, soprattutto, quella sotterranea che talora continua dopo la vita, talora si ferma prima. Quanti morti fra i vivi! Quanti si credono ancora in vita ma in realtà sono cadaveri! Il libro di un uomo definitivamente vivo, e splendido.

BERNARD-HENRI LÉVY

(Traduzione di Daniela Maggioni)

Corriere della Sera
sezione: Cultura - data: 2007-11-26 num: - pag: 33
autore: Bernard-Henri Lévy

 

Philippe Sollers



 

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